Francesco Campogalliani

La dinastia dei burattinai modenesi Campogalliani ha origine con Luigi Rimini (1775-1839) e termina con Francesco circa due secoli dopo nel 1931.

Francesco nasce ad Ostellato di Ferrara nel 1870, è il secondo dei figli di Cesare (1830-1885), burattinaio che agì in territorio ferrarese. Cesare era uomo di grande prestanza fisica e di voce possente così come lo descriverà Francesco nella poesia

“Mi Pader”
Mi Pader l’era un omen grand e gross
con la pel scura com’è i marinar,
con dou spall e di moscul da coloss
con di uc ch’i favan pora in t’al guardar

Alla morte del padre, Francesco rimane con la madre Chiara e il fratello più giovane Carlo, in condizioni economiche non floride e pertanto si trova nella necessità di intraprendere e continuare la professione paterna.

Sposata più tardi Maria Lini, in seguito sua valida collaboratrice, Francesco intraprese da solo quel cammino che doveva portarlo all’apice della fortuna artistica nel campo dello spettacolo burattinesco.
Alla fine della sua esistenza terrena, avvenuta a Mantova nel 1931, egli concluderà una prestigiosa stirpe di burattinai e lascerà, oltre al ricordo della sua arte, due figli, Cesare, laureato in scienze economiche, morto nel 1979, ed Ettore, pianista e maestro di chiara fama morto nel 1992.

Uomo ed artista straordinario, Francesco rivalutò il teatro dei burattini in un periodo di latente crisi, lo nobilitò imponendolo nei teatri e lo fece riconoscere come vera manifestazione d’arte su tutto il territorio nazionale. Francesco fu nel ‘900 quello che era stato nell’800 il suo avo Luigi: un riformatore del teatro dei burattini.

Fu uomo di profonda coscienza morale e di squisita sensibilità umana. Inizio in sordina la sua attività di burattinaio, dapprima in Romagna dove sostò lungamente, poi un po’ ovunque in quell’Italia del Nord che proprio nelle trame burattinesche trovava  quella coesione di tradizioni e stati d’animo ingiustamente trascurata dalla dalla cultura ufficializzata

Dotato per istinto di rara maestria, sapeva trascinare gli spettatori con i repertori drammatici come la “Francesca da Rimini”, i “Due Sergenti”, l'”Amleto”, la “Sepolta viva”, l'”Aristodemo”. Sapeva toccare a fondo i sentimenti dello spettatore cogliendo a pieno la psicologia delle varie età. Era infatti solito affermare che

«i burattini devono essere la verità per i piccoli ed il grottesco per i grandi».

Alla sensibilità psicologica affiancava una grande capacità tecnica, da mestierante. Sorprendeva l’uditorio per i rapidi cambiamenti di voce essendo in grado di sostenere una conversazione animata tra sei, sette, otto personaggi, caratterizzando ognuno per inflessione, timbro e pronuncia. Alla stesso tempo muoveva con grande maestria i burattini.

Fu suo allievo Italo Ferrari che nel 1897 a Guastalla alla fine di una rappresentazione lo vide gettarsi e rotolarsi a terra lamentandosi non per gli errori del giovane allievo Italo ma per il fatto che i suonatori avevano accompagnato un canto in mi minore mentre Francesco cantava in Sol maggiore!.

In occasione del Primo Premio Regionale dei burattini (Modena, 1930), si pone in contrasto contrasto con un articolo di Leonida Fietta che classificava il teatro dei burattini come “solita filosofia spicciola”. Francesco replica con queste parole:

«Grave, molto grave. I burattinai e i burattini hanno diritto di essere rispettati nella loro integrità storica che, per quanto modesta, non cessa di essere materia di storia. Storia che ha radici nella profondità dei secoli, storia intimamente legata a quella del grande teatro; del teatro vero e proprio, quello degli attori semoventi e quasi sempre, pensanti».

Bibliografia

MUNDICI ZANETTI EDITORE – “Burattini e burattinai” – Renato Bergonzini, Cesare Maletti, Beppe Zagaglia